PRIMO MAGGIO: CHE FESTA SIA!
Oggi è una giornata di festa. Meglio: è un giorno della memoria. Come i tanti giorni le cui tragedie scompaiono nel tempo e si illuminano nuovamente solo quando prendono funzione simbolica. E nei primi giorni del maggio 1886, a Chicago, fu davvero tragedia. Una tragedia che tre anni più tardi, in un luglio parigino durante la Seconda Internazionale che riuniva le sinistre, divenne simbolo di una battaglia. Le condizioni dei lavoratori (spesso anche al limite del pericolo) erano oppressive. Secondo molte testimonianze dell’epoca, ogni giorno erano più di sedici le ore in cui uomini e donne erano costretti a lavorare. Condizioni davvero inumane. E in tutti gli Stati Uniti, in quel maggio, si verificarono scioperi di massa e di protesta. A Chicago, dove già dal primo giorno del mese le manifestazioni erano cominciate copiose, morirono due persone davanti alla fabbrica McCormick dopo uno scontro con la polizia che represse i manifestanti a colpi di fucile. Era il 3 maggio. Il giorno successivo, in piazza Haymarket durante un’altra e conseguente manifestazione, l’esplosione di un ordigno uccise sei poliziotti e fece oltre cinquanta feriti. Furono accusati in otto: Albert Parsons, August Spies, Samuel Fielden, Michael Schwab, Adolf Fischer, George Engel e Louis Lingg vennero condannati a morte; l'ultimo, l'imputato Oscar Neebe, a 15 anni di carcere. La sentenza fece clamore in tutto il mondo. Soprattutto perché, secondo alcune prove ritenute inconfutabili, al comizio erano presenti solo due degli otto imputati.
Come detto, tre anni dopo a Parigi, venne stabilito che il primo maggio diventasse la Festa del lavoro e dei lavoratori. Lo slogan che ne marcò l’esistenza: “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”.
Sono passati 132 anni da quei brutti accadimenti. Molti passi in avanti sono stati fatti, sebbene proprio oggi i sindacati protestino in molte parti d’Italia contro lo “shopping” nei giorni di festa che, dopo la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi, varata nel 2011, coinvolge anche i lavoratori i cui servizi non vengono definiti essenziali.
Insomma, l’unico momento di svago sembra essere riservato al Concertone di Roma che prosegue imperterrito nella sua opera di tappeto musicale a questa giornata.
Ma ciò che pare giusto sottolineare è che il primo maggio deve essere considerato anche un momento di riflessione. Oggi, “lavoratori” non possono più essere considerati solo quelli che sono costretti a grande fatica fisica. Perché quei tempi in cui la fatica fisica era sinonimo di lavoro (tanto che in alcune zone d’Italia, il dialetto prevede il verbo “faticare” come connotante il lavoro, qualunque lavoro) quei tempi sono destinati a terminare. L’avvento della tecnologia ha cambiato le condizioni. Oggi lo stress non è più fisico o, almeno, non è quello determinante alla nostra stanchezza. Oggi lo stress che devasta è psicologico, la fatica è morale e mentale. Sempre più, il lavoro segue le vie del progresso ma la precarietà, che in alcuni casi ne consegue, o la complessità, che in alcuni casi ne è matrice, sono ancor più devastanti. Perdere il lavoro non ha necessità di ulteriori aggravi. Eppure si perde, altrettanto, la testa. E tutto si perde. Perché è come se non si avesse più nulla.
Allora, forse, dovremmo rivedere anche i nostri parametri e paradigmi. Una revisione che in realtà ci riporti al principio secondo cui il lavoro è un “mezzo”, uno strumento che deve essere garantito a chiunque. Il dovere di una comunità, come base di partenza. Ma non può più essere considerato l’unico strumento garantito all’uomo per sopravvivere. L’essere umano ha il diritto della propria dignità. Ha il diritto di vivere di affetti e passioni. Ha il diritto a essere felice. E allora sì che sarà davvero la Festa del lavoro.
MASSIMO SAMPAOLESI