La mano de....Guly



Cosa significa Bologna-Udinese nella storia del calcio moderno? A pensarci poco o nulla: nel senso di un match poco sentito da ambo le parti, e raramente esaltante. Eppure episodi controversi, nel recente passato, non è che siano mancati: uno tra tutti, la Mano de Guly. Versione bolognesizzata e grottesca della più famosa Mano de Dios: quello di un certo Diego Armando Maradona. Che in quel Mondiale dell’86, contro l’Inghilterra, segnò quel “divino” precedente: generando poi, a posteriori, un numero infinito di proseliti. Giustificati, per così dire, dal Maestro: perché se l’ha fatto lui, cioè il pallone incarnato, perché non possono anche gli altri? Questione scomoda, a pensarci. Tornando a noi, comunque: settembre 2003, esattamente quindici anni fa. Al Dall’Ara arriva l’Udinese, in cerca di punti dopo l’inizio traumatico, che si trova di fronte un Bologna ancora a secco di vittorie. Se non è una guerra tra poveri, poco ci manca: sulla panchina rossoblù Carletto Mazzone, richiamato dopo l’addio di Guidolin a metà agosto (complici le partenze eccellenti di Cruz e Castellini), e una squadra messa su in fretta e furia per mantenere la categoria. Di fronte, per l’appunto, i bianconeri allenati da Luciano Spalletti: che tutto sommato, con i vari Iaquinta, Jankulovski e Pizzaro, non è che siano una brutta squadra. Ma in campo che succede? Nel primo tempo poco: nel senso che l’arbitro annulla un goal probabilmente valido all’Udinese, mentre il Bologna fa una fatica bestia sia a creare gioco che a sfornare serie palle-goal. Ci vuole un episodio per sbloccar tutto: e l’episodio, nella ripresa, arriva. Calcio di punizione di Beppe Signori ( e chi sennò?), la palla che sguscia tra uno, due difensori, e quando pare ormai sul fondo, eccola diventare preda di Guly, che la insacca. Chi? Guly: al secolo Andrès Guglielminpietro, classe ’74, ex centrocampista di Milan e Inter. Uno di quei giocatori considerati “finiti”, arrivato a Bologna per rilanciarsi. O per svernare: dipende dai punti di vista. Ah, piccolo particolare: Guly è argentino. E quindi, quello che fa in quel pomeriggio del Dall’Ara, è un probabile omaggio al più famoso dei suoi connazionali: o forse, semplicemente, un vizio che tutti i giocatori biancocelesti hanno impresso nel dna. Somma, morale della favola: Guly segna sì un goal pesantissimo che sblocca il match, ma lo fa con la mano, come giocasse a pallavolo: con Mila e Shiro, invece che con Pagliuca e Juarez. Solo che né l’arbitro né il guardalinee se ne accorgono: e quindi, dopo la “schiacciata”, Guly esulta come avesse segnato di testa, come Quell’Altro tanti anni prima. Con i giocatori dell’Udinese furibondi, come quelli inglesi nell'86: perchè tutti sanno, anche i colleghi rossoblù. Ma l’omertà in questi casi la fa da padrone: e i tre punti vengono prima di tutto. Quindi che altro succede? Che Dalla Bona, nel finale, la chiude su rigore: un altro delle meteore di quell’anno. Al cui elenco, molto presto, si aggiungerà pure Guglielmpietro Nostro: che goal di mano a parte, in quella stagione 2003-2004, farà ben poco. 2 reti in 18 presenze, la seconda perlomeno coi piedi. A fine stagione, poi, il rientro definitivo in Argentina: dove, tra i connazionali, si sarà spacciato ovviamente come grande Erede del Diego. Perché segnare di mAno e non farsi “sgamare”, insomma, non è che sia roba per tutti: ci vuole una certa classe. Signore e signori,  ecco a voi la Mano de Dios, atto secondo: la Mano de Guly…
di Stefano Brunetti

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