Le 5 sentenze di Bologna-Udinese
























di Stefano Brunetti

Seconda vittoria consecutiva al Dall'Ara, secondi tre punti ottenuti tra le mura amiche: se possibile ancor più eroici, perché in rimonta. Non solo: la sensazione di aver dato una svolta definitiva al campionato, ovviamente in positivo. E poi cos'altro? Quel "fuoco e desiderio" tanto atteso e infine esploso, seppur a scoppio ritardato. Questo il sunto del mezzogiorno di fuoco rossoblù: che adesso, con sette punti in classifica dopo sette giornate, guarda verso l'alto. Con umiltà, ovviamente: perché non è che adesso sei da Europa. Come prima non eri da retrocessione diretta: ci vuole equilibrio, gente, equilibrio. Questo sconosciuto. E comunque, per i primi giudizi quantomeno "credibili", bisognerà attendere altre due-tre partite: nell'attesa, ecco le cinque sentenze del match di ieri.

1)L'undici definitivo: cosa diceva Agata Christie? Che un indizio è un indizio, due sono una coincidenza e tre una prova. Manca dunque la terza vittoria, con questa formazione, per la verifica definitiva. Per il momento, comunque, i fatti parlano chiaro: e cioè che le due vittorie casalinghe di fila, nel giro di una settimana, hanno un minimo comune denominatore, lo stesso undici titolare. Oh, identico eh: dal portiere all'attaccante. Con Krejci e Nagy tornati in rampa di lancio, dopo le ombre dell'anno scorso (nel senso di poca fiducia del mister) ed una difesa finalmente amalgamata, o quantomeno sulla via dell'assetto definitivo. Se poi anche l'attacco si mette a segnare, allora il gioco è fatto: e veder tornare il Dall'Ara al suo ruolo naturale, cioè di fortino macina-punti, fa bene al cuore. Con buona pace dell'Udinese: certo non una brutta squadra, e per questo atta a dare ancor più significato alla vittoria. Ottenuta, tra parentesi, in rimonta (it's been a long time, direbbero Oltreoceano). Forse, per la quadra definitiva, ci siamo: o quantomeno, ci siam vicini...

2)Santander vale i milioni spesi: all'inizio erano soldi buttati. Ma dai: sei milioni per uno che ha giocato nel Copenaghen, cioè in un campionato che equivale alla nostra C, e che per di più ti arriva in sovrappeso! (titolo a caratteri cubitali di un noto giornale locale, nel luglio scorso). Somma, morale della favola: un pacco clamoroso. Giudizio definitivo, universale, dato ancor prima di vederlo: perché è così che si fa, no? La preparazione pesante, per recuperare da un infortunio (perché allenarsi con un chiodo nella gamba non è poi facile per nessuno), l'inizio difficile, contro Spal e Frosinone, i segnali di ripresa con l'Inter: poi la gara con la Roma. Dove il Ropero esplode e si mostra in tutta la sua magnificenza al popolo delle Due Torri: già idolo prima di mettere piede in campo, figuriamoci nel momento in cui segna e fa segnare. Ieri un'altra partita da otto in pagella: per il goal e non solo. Perché il paraguaiano non sbaglia un pallone, facendo praticamente reparto in solitaria: un panzer, un armadio, che vale già il doppio della cifra spesa. Perché del resto, che ci frega di Ronaldo…

3)Orsolini e Svanberg predestinati:  rispettivamente '97 e '99: il primo arrivato a gennaio, nel mercato di riparazione, per sostituire in via teorica Simone Verdi, il secondo colpo dell'estate, pagato la bellezza di 5 milioni (per uno nemmeno ventenne, mica male). Due giovani su cui puntare: perché se Riccardo non ha il posto da titolare fisso, ieri ha comunque dimostrato di valerlo, col goal della vittoria e il palo a negargli la doppietta. All'altro, Mattias, son bastate invece due partite, guarda caso coincise con due successi, per prendersi in mano le chiavi del centrocampo: e dare una svolta netta ad un reparto prima in seria difficoltà. Trattasi palesemente di due predestinati: dalle movenze al senso tattico, fino al modo di affrontare il campo. E se l'uno è purtroppo soltanto in prestito (dalla Juventus) l'altro, invece, è totalmente rossoblù. Che sia l'inizio, questo, per rivalutare l'operato del ds Bigon? Ai posteri la controversa sentenza.

4) La Var non serve a un: sì, perché va bene, alla fine hai vinto, e quindi tutti felici e contenti. Ma il disastro dell'arbitro Manganiello, certo non amato oggi dal pubblico rossoblù, rimarrà negli occhi degli appassionati per tanto tempo: perché quel rigore non dato a Svanberg grida vendetta. Non solo: perché se poi usi la Var per ufficializzare tale scelta, allora qualcosa non va. E se quel maledetto aggeggio non ti aiuta a far chiarezza su un episodio del genere, che più limpido di così non si può, allora due domande è meglio farsele. Fatto sta che a una certa, che succede? Che sul tabellone dello stadio scorre il replay dell'episodio: col pubblico felsineo sconvolto, alla vista di quel rigore solare non dato. La rabbia popolare esplode dunque nei confronti del direttore di gara, fischiatissimo all'ingresso negli spogliatoi. Stavolta è andata bene, a posteriori: ma la prossima, forse, sarà meglio guardare un pelo di più quella maledetta Var, prima di dare una risposta. Perché se no, se questi sono i risultati, se ne potrà fare anche a meno. Della Var s'intende: ma a pensarci, di Manganiello pure.

5)Se il prezzo è basso, la gente va allo stadio: che poi sembra una roba elementare, ma, a quanto pare, di non immediata comprensione: perchè se metti prezzi popolari, la gente allo stadio ci va sempre. Ripetiamolo tutti insieme: prezzi popolari uguale spalti pieni. La prova? Ieri al Dall'Ara: con una partita certo non di cartello,  giocata di domenica alle 12 e 30, quando normalmente si pranza in famiglia ("Da st'aura as magna, an's zuga brisa al balon", recitava un famoso striscione), e che stavolta, coi prezzi dei distinti ultra-accessibili (10 euro per gli studenti universitari) ha visto almeno ventimila sugli spalti, cioè un numero di gran lunga superiore agli standard. Qual è la morale? Che forse, a volte, si fanno tanti discorsi sull'emorragia del pubblico senza centrare il punto: e cioè che per riempire gli stadi, come una volta, basterebbe poi semplicemente abbassare i prezzi. Non ci vorrà mica un genio, a capirlo...



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