L'ultimo colpo a Juventus
Vincere a Torino, sponda bianconera, è sempre un piacere: e quando capita, cioè una volta ogni trent’anni, è sempre nel mezzo di una stagione anomala. Sui generis, per così dire: regola bizzarra, ma infallibile, che non ammette repliche. Un esempio?
L’ultima
vittoria, datata 2010-2011: la stagione dei Quattro Presidenti, per intenderci.
Curioso
parallelo con la storia romana: non calcistica, ma imperiale. Con al posto di
Vespasiano e compari, cioè Galba, Otone e Vitellio, quattro nomi da brividi,
seppur in chiave pallonara. E cioè, in rigoroso ordine cronologico: Porcedda,
Zanetti, Pavignani ( l’unico salvabile) e Guaraldi. Tranquilli, è passata. Ma
sta di fatto che quell’anno di (dis)grazia si consegnò per sempre alla storia: causa principalmente i repentini
cambi alla presidenza, conti alla mano uno ogni tre mesi. Forse anche meno. Con in
un mezzo un possibile fallimento ( sventato proprio all’ultimo) e una gioia
inaspettata: quella, per l’appunto, di vincere "a Juventus". Che non è che capiti tutti
i giorni.
Ma andiamo
con ordine: in estate, dopo un biennio alla guida del Bologna, i Menarini vendono. A chi? Sergio Porcedda, imprendi-attore sardo: che dura giusto il tempo
del mercato. Certo condotto bene, ma gestito con soldi immaginari: e quindi, al
momento di pagare, la baracca salta. O meglio: rischia di saltare. Per fortuna
che almeno per una volta scende in campo l’imprenditoria locale: forse smossa
dal senso di colpa. La formazione è super: in testa Gianni Morandi, nuovo
presidente onorario, Massimo Zanetti, nome pesante del gruppo ( mister
Segafredo) e tutta una serie di signorotti del posto che han voluto dare
il proprio contributo, chi più chi meno. Tutti felici e contenti, dunque? All’inizio
sì: nel senso che il pericolo sembra scampato, la squadra viaggia come non mai
( agli ordini di un Alberto Malesani stranamente calmo) e il peggio, in
generale, sembra messo alle spalle. Ma è la classica quiete prima della
tempesta.
Perché presto (e ti pareva…) arriverà l'immancabile fulmine a ciel sereno: le dimissioni cioè, dopo
appena un mese, di Massimo Zanetti. A
sentir lui, “spintanee”: nel senso che i Nanetti, come chiama amorevolmente i
suoi compagni d’avventura, l’han silurato con una congiura alla Bruto e Cassio, con
modalità e movente, seppur meno sanguinari, molto simili ( lui che voleva
regnare da imperatore assoluto, a mò di novello Cesare, loro per la democrazia universale:
già…ma finanziata da chi?).
Il tutto però avviene ben prima delle Idi di Marzo, cioè a fine gennaio: con una
squadra che, nel pieno del mercato di riparazione, si ritrova senza guida. Di
nuovo, dopo poche settimane: non sembra esserci pace, per quel Bologna. I congiurati eleggono un nuovo presidente:
Marco Pavignani ( pace all’anima sua), classe ’36, titolare di Plastica
Marconi, già parte del team-Gazzoni che salvò il Bologna ad inizio novanta. Un
sincero tifoso rossoblù: bolognese e bolognista, che nei seppur soli due mesi alla
guida ( periodo massimo per un presidente, quell’anno) avrà la fortuna di legare per sempre il
suo nome all’Evento.
Quale? La
vittoria con la Juve a Torino, per l’appunto: trent’anni dopo Adelmo Paris. E
quel rigore nell’anno del -5: perché oh, arrivano sempre nella annate strane, le
vittorie in terra bianconera. Piccola parentesi: quella Juve non è certo l’attuale.
Nel senso che sta attraversando il periodo più difficile della propria storia, quello
post-Calciopoli, con gli ultimi anni bui prima della rinascita: con Del Neri in
panchina e Martinez in campo. Ma nonostante questo, sempre una vittoria da
annali rimane: con il solito mattatore di quegli anni, Marco Di Vaio, a segno due
volte. Con goal non belli ( o quantomeno non spettacolari) ma sui quali c’è
impresso il suo marchio di fabbrica: quello cioè di un vero rapace d’area,
capace di segnare in tutti i modi possibili e immaginabili. Il primo: lancio
millimetrico di Mutarelli ( forse l’unica cosa buona dei suoi anni bolognesi),
il capitano se l’allunga giusto di un pelo, la misura ideale per far fuori
Legrottaglie ( va bè, della serie: ti piace vincere facile…) e beffare Buffon
con un geniale pallonetto. Il secondo, poco più tardi: Meggiorini di tacco (…),
Marco che entra in area, fa fuori Grygera, ne beffa un altro, e in mezzo a sei
( !) difensori juventini trova infine il goal del raddoppio, fregando Buffon sul suo
palo. 0-2 e tanti saluti: nella Grassa è festa grande. La storia è riscritta:
l’apice di una stagione assurda, dalle due facce. Due? Quattro: quelle dei
presidenti. Con ultimo, Guaraldi, eletto il 7 aprile: proprio in tempo per
godersi il tracollo psico-fisico della squadra. Che da una certa in poi non ne
vincerà più una: perdendo l’ultima in casa per 4-0 col Bari retrocesso. Summa di
un’annata assurda, al limite del no sense: dove si è visto il meglio e il peggio di questo sport. Dove ne sono successe davvero troppe. Se più in positivo o in negativo? La
prima: perché vincere a Juventus, insomma. Non è che sia roba da tutti i
giorni…
Stefano Brunetti
Stefano Brunetti