Ma un bimbo che ne sa?


Ai tifosi bolognesi di oggi, quelli Santi subito, vorrei ricordare - con motivata nostalgia - i tifosi degli anni 70, quelli come noi che ancora ci aspettavamo tanto, che avevamo tanto, dai colori rossoblù, prima dell'avvento del primo presidente "Business", colui che di fatto sancì un passaggio storico, dal presidente innamorato e ambizioso a quello che si occupa dei dividendi. Perché Luciano Conti attese che Giacomo Bulgarelli andasse in pensione, con lui in campo non avrebbe potuto farlo, per smantellare un Bologna da primi dieci posti per inaugurare il periodo del Bologna che tira a campare. Brutto dirlo, ma è così. Dall'epoca del signor Lampadari - che si divertiva (noi meno) a fare battute del tipo "perché devo svenarmi comperando calciatori? compro un paio di arbitri a fine stagione e mi salvo in carrozza") - salvo un paio di casi (ci metto i presidentissimi: Corioni e poi Gazzoni con i soci Martini e Bandiera) - è sempre andata così: il Bologna ha tirato a campare. Aspettando la prova contraria (do you understand, mr. Saputo?) Dunque negli anni '70, per un cinno, entrare allo stadio era emozionante. Io dicevo alla mamma che andavo a fare un giro e poi, talvolta, finivo davanti al cannellone di legno sotto la torre di maratona. Entrata dei distinti. I ragazzi accompagnati pagavano poco. E così avevo la sfrontataggine di fermare uno, scusi mi fa entrare con sé? prendo il biglietto lì e la ringrazio. Trovavo consenso, poi mi piazzavo nel settore dei distinti laterali, spesso assieme a tifosi delle squadre avverse, ognuno faceva il tifo per sé, senza alcun accenno di violenza. E, badate, finivi in mezzo a tifosi calienti, come quelli della Lazio, o del Napoli, o del Verona e persino della Roma. Esultavi, e lasciavi esultare: non succedeva alcunché di negativo. Per un ragazzino, lo stadio aveva il sapore di qualcosa di… "adulto". Tutto era magico. Dal biglietto, al passaggio buio, sotto le gradinate, con quella luce fortissima che indicava la strada. E mentre eri lì sotto, sentivi i rumori attutiti, ovattati. Poi, una volta uscito il verde dell'erba era accecante, lo speaker lanciava i suoi slogan alcuni dei quali rimasti - come dire? - epici. Ti voltavi e già i distinti centrali erano quasi al completo, c'erano in prevalenza gli abbonati. Una volta raggiunto il posto scelto, distinti laterali non numerati, ecco che, come un cane da punta, mi mettevo a fissare la scaletta che dagli spogliatoi portava i giocatori sul campo. La fissavo, anche se mancavano molti minuti, derogando solo in un caso. Se, cioè, sul campo ci fossero state due squadre giovanili - che fortunati quei cinni! pensavo - perché a volte c'erano delle partitelle pre-gara, accompagnate, tavolta, se la giocata lo comportava, da applausi e persino da piccoli boati. Tutto era magico. Tutto. La pubblicità dell'acqua che donava freschezza, la ditta di produttori di vini che offriva una cassa di bottiglie al giocatore del Bologna autore della prima rete (e già lì, sapendolo, avremmo dovuto capire che destino ci aspettasse tesserando un… Acquafresca! Uno sponsor offriva il nome dell'arbitro, signor tal dei tali da Cormons (soccia, mo dov'è Cormorano?) Infine, quando mancava poco, ecco l'annuncio. Nicoletti Nicoletti Nicoletti… vi annuncia… leformazionidellesquadreincampo. No, non ho sbagliato a scriverlo tutto attaccato. Perché la metrica dello speaker era questa, la frasina che preannunciava le formazioni ufficiali era letta tutta d'un fiato. E dopo: Bologna fotbal clab, a 50 decibel, per poi abbassare - ma non troppo - la voce per annunciare la squadra avversaria. E io? Non avevo abbassato lo sguardo. Come un bracco da riporto, ero sempre lì, con lo sguardo alla ringhierina, al raccattapalle che, di fatto, preannunciava l'ingresso degli eroi avvicinandosi e appiccicandosi alla scala quando stavamo per affiorare. E poi… ECCOLI! Con Giacomino in testa, col 10, con l'8, col 5, comunque lui. E dietro gli altri. Giacomino naturalmente accolto dalla stridula voce di Gino Villani: "Onorevole Giacomino, salute!" A volte il capitano persino rispondeva con un gesto. Mi emozionavano tutti, avevo un debole per Savoldi, il bomber. Ma se Pace non c'era, e Bruno era un mito, docente all'università dei cross, anche Ciacci o Grop andavano benessum. E prima ancora l'ex bianconero della Giuve Novellino pareva un lusso. Ci sono fotografie impresse nella memoria. Un 1 a 0 col Cagliari firmato da un autogol di Niccolai; un 4 a 1 al Verona, in rimonta, con tripletta di Savoldi; una sconfitta con il Foggia di uno giovane e bravo, come si chiamava? Ah Tommaso Maestrelli. Gol di Vastola, rimonta e sorpasso firmati da Nello Saltutti, con un gol pazzesco, di testa, tuffandosi, e incornando di nuca un pallone a neanche mezzo metro di altezza, scaraventato sotto la traversa. Un 2 a 0 col Palermo tutto merito di Pierino Ghetti. E ancora molte altre immagini, quando poi Conti fece la rivoluzione, cedendone nove su undici, facendo fare le valigie persino a Roversi, verso Verona. Che choc! Se ne andarono Savoldi, Ghetti, Landini detto Canarela, Pecci cioè il nuovo che avanzava (e bene), Bulgarelli per finita attività, Caporale che finalmente aveva dato un'eredità credibile al ruolo di Janich; Buso che aveva già la maglia Under 21 azzurra addosso. Tornò Clerici quasi ai titoli di coda, fu lanciato Stefanello Chiodi al suo fianco, arrivarono Cereser e Rampanti dal Toro, Vanello dal Palermo, Bertuzzo dal Brescia, Nanni dalla Lazio, Mancini detto Tarzan il portiere che aveva giocato a Bari. Un Bologna tutto nuovo costruito attorno a Bellugi inamovibile assieme a Cresci. Non fu più la stessa cosa. Mai. Finita un'epoca, quella di un Bologna aristocratico, mai stato in serie B nella sua storia. Il principio della fine, con Conti. Il presidente sapeva fare i conti: col Bologna che navigava a centro alta classifica spesso non riempiva lo stadio, ma salvandosi alla penultima e per il rotto della cuffia (diciamo così), speculava sull'amore della città per la squadra, facendo sempre sold out. Ricordo un Bologna-Atalanta per la vita o la morte, deciso da un tiro dalla distanza di Maselli, con espulsione di Mei, un ex, e rabbia sfociata negli spogliatoi da parte degli orobici. Atmosfere d'altri tempi, persino l'odore di tabacco rappreso faceva tanto stadio (che allora si chiamava Comunale). Partite rigorosamente giocate tutte con inizio alle 14,30 della domenica. Salvo recuperi, talvolta persino di lunedì. Poca tv, un tempo al massimo e riflessi filmati concessi per circa 5' alla Rai, alla Domenica Sportiva. Brutto, qualcuno penserà: invece no, i calciatori li vedevi dal vivo. E certi gesti tecnici di cui si sapeva solo da lontano, finivano per essere mitizzati, idealizzati, immaginati. Differenti anche gli articoli sui giornali, raccontavano il match con dovizia di particolari, cosa oggi - nell'epoca di diecimila telecamere e immagini tv - impensabile. Il calcio rossoblù non sarebbe mai più stato lo stesso. ma un bimbo che ne sa? cantavano i Nomadi. Già, che ne poteva mai sapere?

Diego Costa


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