Dieci anni dopo
di Stefano Brunetti
Nei giorni della #TenYearsChallenge, il ritorno sulla panchina rossoblù di Sinisa Mihajlovic suona quasi ironico: come quei raduni tra vecchi compagni di classe, che s'incontrano casualmente per una birra e finiscono poi a parlare fino a notte fonda, a ricordare i bei tempi andati.
Ma nel caso di Sinisa e il Bologna, dov'eravamo rimasti?
Ah sì: quel Bologna-Siena 1-4 dell'aprile 2009, non troppo lontano in termini di disastro da quelli odierni, con una squadra in caduta libera e salvata poi alla fine solo da San Diego Milito, oltre che ovviamente da Marco Di Vaio, autore in quella stagione di ben 24 reti.
Eppure per il tecnico serbo non era iniziata malissimo: nel novembre 2008, dopo il pesante tonfo per 5-1 a Cagliari, la famiglia Menarini decide infatti di sollevare Daniele Arrigoni, l'eroe della promozione, prendendo al suo posto l'esordiente Sinisa, alla sua prima esperienza da mister, dopo gli anni come vice di Roberto Mancini all'Inter.
Quale il credo tattico di Miha? 4-5-e non prenderle: nel senso che l'ex difensore della Lazio capisce fin da subiti i limiti tecnico-tattici di quella squadra, mal assemblata nel mercato estivo, provvedendo piuttosto a lavorare sulla testa dei giocatori e pensare in primo a luogo a blindare le porta e cominciare a macinar punti per dar fiducia.
Alla prima contro la Roma la fortuna aiuta: giallorossi in vantaggio, poi un autorete di Cicinho nel finale regala un pareggio insperato; è il primo di cinque pareggi di fila, ottenuti per lo più contro dirette rivali per la salvezza: all'alba della 16esima giornata dunque il Bologna ha fermato l'emorragia di sconfitte, ma nella sfida casalinga contro il Toro, rivale diretto per non retrocedere, deve vincere. Detto fatto: una partita rocambolesca, con un Super Marco Di Vaio (e il rigore realizzato da Bernacci) annientano i granata, pur in vantaggio due volte, con un 5-2 finale.
Sembra l'inizio di un nuovo campionato: Sinisa esce imbattuto anche da Lecce, pareggia in casa col Chievo e poi fa il colpaccio a Catania (1-2); nel frattempo, durante il mercato di riparazione, i Menarini regalano al tecnico un certo Daniel Osvaldo, pagato a peso d'oro dalla Fiorentina.
Le premesse per un super girone di ritorno ci son tutte: la sconfitta casalinga col Milan è indolore, arriva poi subito il successo esterno di Bergamo a bilanciarla.
Poi però cosa succede? Che la carica data dal tecnico serbo, fenomenale all'inizio, comincia piano piano a spegnersi: tolto un successo casalingo con la Samp e il pareggio di Napoli, nelle successive dieci partite il Bologne le perde tutte, fino alla debacle definitiva in casa coi toscani.
Risultato: bye bye Sinisa e dentro l'esperto Papadopulo.
Ma come si spiegano, dieci anni dopo, i motivi di un tale crollo dopo il comunque buon inizio? Con mille e più ragioni, a cominciare da un mercato di riparazione non all'altezza, che non portò i rinforzi giusti (specie in difesa e a centrocampo) e limiti, probabilmente, del Mihajlovic dell'epoca, che non riuscì a garantire nei giocatori la giusta carica per il resto della stagione.
Sinisa comunque dal canto suo si lecca le ferite e riparte l'anno successivo da Catania, dove ottiene un buon 13 esimo posto con salvezza tranquilla annessa; si guadagna dunque la chiamata della Fiorentina, dove dopo il nono posto del primo anno, dopo esser stato ad un passo dall'Inter, viene confermato, salvo poi essere esonerato all'inizio del campionato successivo.
Nella parentesi sulla panchina della nazionale serba non lascia segno, nel 2013 eccolo dunque di nuovo nel Belpaese, sulla panchina della Samp, dove subentra a Walter Zenga.
Salvezza il primo anno, settimo posto il secondo, miglior risultato della carriera da mister: il Milan, alla luce di questo, lo chiama per rilanciarsi, ma in quegli anni la squadra rossonera non ha una dirigenza all'altezza del suo passato e così Sinisa finirà per essere l'ennesimo capro espiatorio di mercati sotto le aspettative, finendo esonerato nell' aprile 2016.
E' infine nella Torino Granata, dove ottiene un buon nono posto al primo anno e viene esonerato a metà del secondo, più per contrasti con i dirigenti che altro; dichiara di non voler allenare mai più in Italia, quindi eccolo nell'estate scorsa allo Sporting Lisbona, esperienza che dura una settimana, o poco più, causa caos dirigenziale e cambio dei programmi iniziali.
Poi, la chiamata da Bologna.
"Pronto Sinisa, te la senti di tornare?"
Già nel post-Empoli il suo nome torna a circolare attorno alla panchina delle Due Torri, poi con insistenza nei primi giorni di gennaio, salvo poi posizionarsi in stand-by in attesa del crollo. Che, quasi in maniera scientifica, avviene in casa col Frosinone.
E il ritorno del serbo che, dieci anni dopo, diventa realtà.
Nei giorni della #TenYearsChallenge, il ritorno sulla panchina rossoblù di Sinisa Mihajlovic suona quasi ironico: come quei raduni tra vecchi compagni di classe, che s'incontrano casualmente per una birra e finiscono poi a parlare fino a notte fonda, a ricordare i bei tempi andati.
Ma nel caso di Sinisa e il Bologna, dov'eravamo rimasti?
Ah sì: quel Bologna-Siena 1-4 dell'aprile 2009, non troppo lontano in termini di disastro da quelli odierni, con una squadra in caduta libera e salvata poi alla fine solo da San Diego Milito, oltre che ovviamente da Marco Di Vaio, autore in quella stagione di ben 24 reti.
Eppure per il tecnico serbo non era iniziata malissimo: nel novembre 2008, dopo il pesante tonfo per 5-1 a Cagliari, la famiglia Menarini decide infatti di sollevare Daniele Arrigoni, l'eroe della promozione, prendendo al suo posto l'esordiente Sinisa, alla sua prima esperienza da mister, dopo gli anni come vice di Roberto Mancini all'Inter.
Quale il credo tattico di Miha? 4-5-e non prenderle: nel senso che l'ex difensore della Lazio capisce fin da subiti i limiti tecnico-tattici di quella squadra, mal assemblata nel mercato estivo, provvedendo piuttosto a lavorare sulla testa dei giocatori e pensare in primo a luogo a blindare le porta e cominciare a macinar punti per dar fiducia.
Alla prima contro la Roma la fortuna aiuta: giallorossi in vantaggio, poi un autorete di Cicinho nel finale regala un pareggio insperato; è il primo di cinque pareggi di fila, ottenuti per lo più contro dirette rivali per la salvezza: all'alba della 16esima giornata dunque il Bologna ha fermato l'emorragia di sconfitte, ma nella sfida casalinga contro il Toro, rivale diretto per non retrocedere, deve vincere. Detto fatto: una partita rocambolesca, con un Super Marco Di Vaio (e il rigore realizzato da Bernacci) annientano i granata, pur in vantaggio due volte, con un 5-2 finale.
Sembra l'inizio di un nuovo campionato: Sinisa esce imbattuto anche da Lecce, pareggia in casa col Chievo e poi fa il colpaccio a Catania (1-2); nel frattempo, durante il mercato di riparazione, i Menarini regalano al tecnico un certo Daniel Osvaldo, pagato a peso d'oro dalla Fiorentina.
Le premesse per un super girone di ritorno ci son tutte: la sconfitta casalinga col Milan è indolore, arriva poi subito il successo esterno di Bergamo a bilanciarla.
Poi però cosa succede? Che la carica data dal tecnico serbo, fenomenale all'inizio, comincia piano piano a spegnersi: tolto un successo casalingo con la Samp e il pareggio di Napoli, nelle successive dieci partite il Bologne le perde tutte, fino alla debacle definitiva in casa coi toscani.
Risultato: bye bye Sinisa e dentro l'esperto Papadopulo.
Ma come si spiegano, dieci anni dopo, i motivi di un tale crollo dopo il comunque buon inizio? Con mille e più ragioni, a cominciare da un mercato di riparazione non all'altezza, che non portò i rinforzi giusti (specie in difesa e a centrocampo) e limiti, probabilmente, del Mihajlovic dell'epoca, che non riuscì a garantire nei giocatori la giusta carica per il resto della stagione.
Sinisa comunque dal canto suo si lecca le ferite e riparte l'anno successivo da Catania, dove ottiene un buon 13 esimo posto con salvezza tranquilla annessa; si guadagna dunque la chiamata della Fiorentina, dove dopo il nono posto del primo anno, dopo esser stato ad un passo dall'Inter, viene confermato, salvo poi essere esonerato all'inizio del campionato successivo.
Nella parentesi sulla panchina della nazionale serba non lascia segno, nel 2013 eccolo dunque di nuovo nel Belpaese, sulla panchina della Samp, dove subentra a Walter Zenga.
Salvezza il primo anno, settimo posto il secondo, miglior risultato della carriera da mister: il Milan, alla luce di questo, lo chiama per rilanciarsi, ma in quegli anni la squadra rossonera non ha una dirigenza all'altezza del suo passato e così Sinisa finirà per essere l'ennesimo capro espiatorio di mercati sotto le aspettative, finendo esonerato nell' aprile 2016.
E' infine nella Torino Granata, dove ottiene un buon nono posto al primo anno e viene esonerato a metà del secondo, più per contrasti con i dirigenti che altro; dichiara di non voler allenare mai più in Italia, quindi eccolo nell'estate scorsa allo Sporting Lisbona, esperienza che dura una settimana, o poco più, causa caos dirigenziale e cambio dei programmi iniziali.
Poi, la chiamata da Bologna.
"Pronto Sinisa, te la senti di tornare?"
Già nel post-Empoli il suo nome torna a circolare attorno alla panchina delle Due Torri, poi con insistenza nei primi giorni di gennaio, salvo poi posizionarsi in stand-by in attesa del crollo. Che, quasi in maniera scientifica, avviene in casa col Frosinone.
E il ritorno del serbo che, dieci anni dopo, diventa realtà.