Quel pomeriggio di un giorno da cani



Sono le 17.45.
Minuto più, secondo meno: e viceversa.
L'arbitro Luca Banti ha appena fischiato per tre volte, dando via indirettamente al pubblico ludibrio; ma a subissare di ingiurie i giocatori in maglia rossoblù, a dirla tutta, son rimasti in pochi. Pochissimi: molti infatti, dal secondo goal di Ciano, sono già sulla strada di casa.
Altri, dagli albori della ripresa, sono invece ai cancelli della tribuna.
Ad aspettare spiegazioni: o quantomeno, qualcosa di simile.
La partita sul campo è finita; quella della protesta, cominciata nel primo tempo e spostatasi fuori dall'impianto, è appena iniziata.
4-0 in casa dal Frosinone, in una partita considerata da dentro o fuori: peggio del peggior incubo. Il surrealismo la fa da padrone; facce sgomente, da apocalisse.
Se incazzate? No: più sull'incredulo.
Il non aver ancora realizzato che è successo: tipico, in questi casi.
L'espulsione di Mattiello, punto di rottura dell'iceberg: perché fino a quel momento, in quel primo quarto d'ora, il Bologna aveva pure messo alle corde i rivali.
Poi l'inevitabile: rossoblù in dieci e il disastro che prende lentamente corpo.
Alla fine, massimo dello sfregio, le risate per i goal del Frosinone: specie sull'ultimo, quello causato da un errore fantozziano di Pulgar.
Lì fuori però, di voglia di ridere, ce n'é ben poca: piuttosto la rabbia, e il disgusto per lo spettacolo horror andato in scena al cinema Dall'Ara. Roba da Wes Craven: o giù di lì.
La folla va ingrossandosi poco alla volta, fino a raggiungere le mille unità.
Questo almeno dicono in giro.
La polizia veglia l'entrata: il clima è teso e sarebbe del resto strano il contrario.
In altre piazze sarebbe successo ben di peggio: vi ricordate a Genova, quando ritirarono le maglie ai giocatori?
Sotto le Due Torri invece, nonostante l'aria pesante, la ragione persiste: rabbia sì, enorme, ma dentro confini comunque civili.
Anche se certo, in questi casi, gli istinti animaleschi spingono. Pure nei più insospettabili.
La folla mormora, sussulta: si sparge voce che Saputo, presente allo stadio, arriverà a parlare.
Lì, di fronte a tutti: ma figurati.
Nessuno sembra crederci; Gustave Le Bon, famoso studioso delle folle, avrebbe certo trovato pane per i suoi denti. I cori contro i Tre Moschettieri intanto si moltiplicano.
Sono loro i destinatari del dissenso: non Inzaghi, allenatore esonerato che cammina. Stavolta in maniera irreversibile: perché va bene il sostegno, va bene tutto.
Ma non cambiare nemmeno oggi, dopo la resa, bè...sfiorerebbe la farsa.
"L'avevo detto che bisognava cambiarlo dopo Napoli!" dice uno sulla quarantina, beccato subito dall'amico "Macchè, questo andava cacciato via dopo Empoli!". Rincara la dose un terzo "Il fatto è che non andava proprio preso!".
Si trova anche per tempo scherzare: perché in fondo, direbbe il Moderato Medio, è pur sempre un gioco.
Eresia: vallo a spiegare a chi si fa chilometri ogni domenica per l'Italia.
A chi quando si gioca in casa è costretto ad odissee da provincia e similari.
Un ragazzo sui venti si lamenta appunto di questo "Devo tornare a Baricella, e tra un po' c'è l'ultimo bus...o vi sbrigate o me ne vado!".
Tutti attendono un segno: qualcosa.
Qualunque cosa.
La rabbia diffusa ha bisogno di essere convogliata.
Prende parola uno dei volti storici della curva.
"Aspettiamo altri dieci minuti, dieci...se non arriva nessuno, ce ne andiamo!"
Il tempo passa, inesorabile: nessuno arriva.
"Basta, andiamo via!" dice sempre lo storico volto, con la folla che va disperdendosi.
Ma mentre comincia il deflusso da via dello Sport, trasfigurata dalle normali sembianze, ecco arrivare il contrordine: c'è Saputo.
Scherzi? Macchè: c'è sul serio.
Dietrofront: tutti ai posti di partenza.
Dai cancelli della tribuna, scortato da polizia e giornalisti, il presidente appare alla folla incredula: è disposto al dialogo, al confronto.
Mostrando comunque, a prescindere da tutto, attributi notevoli.Che gli van comunque riconosciuti.
L'incontro avviene in un silenzio surreale: con cellulari e simili che immortalano il tutto, mentre una voce dice di metterli via.
VIA, VIA QUEGLI AFFARI!
Ma gli aggeggi proliferano, in via esponenziale: è l'era digitale, ragàz.
Chiunque tenta di immortalare il momento, anche se invano: perché le parole del presidente son dirette solo ed esclusivamente al proprio interlocutore.
Che sinceramente, in quella marea umana, non si capisce nemmeno chi sia.
Sembra comunque un incontro solenne, di quelli destinati ai libri di storia:  a Teano dev'essere andata più o meno così. Forse era meno freddo, certo.
Anche qui, comunque, siamo di fronte a un fatto storico: il presidente che arriva a sentire le ragioni dei tifosi. Roba inedita, sotto le Due Torri. Ma forse per tutto il calcio italiano.
E oltre.
Ma cosa si dicono, in quei dieci minuti fuori dal tempo e dallo spazio?
E chi lo sa.
Non si sente nulla; niente di niente.
Silenzio, assoluto, mentre a volte dei solitari se ne escono con un "Caccia Fenucci!", "Caccia Inzaghi!", e certo, a quel punto mancherebbe soltanto "Caccia te stesso!".
Poi l'incontro finisce e Saputo se ne va comunque tra gli applausi.
Non c'è che dire: il presidente sa come prendere la folla.
Il leader della curva parla, riconoscendo subito al pres il coraggio di presentarsi.
Di metterci la faccia.
Roba non da tutti.
E poi: traducendo dal diplomatichese, da giugno c'è stata promessa piazza pulita.
Il coro finale, uno dei tormentoni curvaioli, fa calare il sipario sulla giornata.
La folla, stavolta, si disperde davvero: la tensione va via via scemando, di conseguenza.
L'ultimo atto di un giornata di ordinaria follia, come in quel film con Micheal Douglas: il sipario cala definitivamente sul Dall'Ara.
Bologna s'avvia al riposo, dopo una domenica delirante: c'è il lunedì all'orizzonte.
Due signori di mezz'età bisbigliano tra loro.
"Ma quindi che ha detto?"
"Bha, non ci ho un capito un caz. E te?"
"Neanch'io"
"E Inzaghi?"
"Non ha detto niente"
"Già, ma non può tenerlo ancora, non può."
"Già".
Silenzio
"Comunque domani si torna a lavorare...che palle".
"Che palle, già".

Stefano Brunetti



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