Znèr
di Stefano Brunetti
Anno nuovo, vita vecchia.
Eppure, le premesse per far bene, c'erano tutte: anche perché far peggio delle settimane e dei mesi precedenti, sinceramente, sembrava difficile.
Un anno tremendo, il 2018: finito con una sconfitta (così come era iniziato), ma perlomeno onorevole, in quel di Napoli, facendo pure soffrire la seconda in classifica.
Una prestazione confortante, sul momento; ma a posteriori, deleteria: perché il cambio andava fatto lì. Facile, col senno di poi.
Eppure...
Andiamo però con ordine: il 4 gennaio riapre il mercato.
Vengono ufficializzati Sansone e Soriano, già ufficiosi da una settimana: due colpi da novanta, per una squadra terzultima.
Ad allenarli, ancora Filippo Inzaghi, nonostante i soli 13 punti del girone d'andata.
E per forza, dicono le malilingue: Tullio Tinti, procuratore di Pippo, è anche quello della coppia di italo-tedeschi. Ormai, nel Bologna, pare reggere lui i fili del gioco.
Comunque l'arrivo del centrocampista e dell'attaccante sembrano l'alba di un nuovo inizio; la dirigenza ha promessi cinque acquisti per fare il salto di qualità, ne mancano ancora tre.
Joey Saputo appare in video ai primi dell'anno, per confortare il pubblico: parla in inglese con sottititoli in italiano. Un intervento che fa a scomodare vari esperti di comunicazione, incuriositi dal modo di porsi del presidente canadese.
Il 7 gennaio riprendono gli allenamenti: pandoro e panettone sono un lontano ricordo.
Ancora 3-5-2? Pare proprio di sì.
La sfida con la Juve in Coppa Italia è il primo evento del'anno: obiettivo, uscire con onore.
Perchè fermare la squadra bianconera, sinceramente, pare impossibile.
Il 12 gennaio, finalmente, si gioca: con Sansone e Soriano subito in campo.
E il 3-5-2 confermato, come stile di vita.
Dall'altra parte Spinazzola, obiettivo rossoblu; CR7 parte invece in panchina.
Pronti e via: una papera di Da Costa, che non si capisce con Calabresi, apre la danze per il vantaggio bianconero. Bernardeschi fa l'1-0.
Sugli spalti, in un freddo glaciale, quasi più juventini che bolognesi: e per forza, i prezzi sono proibitivi, è sabato sera e c'è la diretta su Rai Uno.
Lo shock dello svantaggio non spaventa la squadra di Inzaghi, che si riorganizza.
La Juve amministra senza troppi problemi, rifilando il colpo decisivo in avvio di secondo tempo, grazie al goal di Kean (altro potenziale obiettivo, che già aveva segnato il suo primo goal in serie A al rossoblu): 2-0 e tutti a casa.
Nel complesso, comunque, non è stato un brutto Bologna: anche se certo, la Juve, anche in vista della Supercoppa, dopo poco ha smesso di giocare.
Ma poco importa: la carica per il derby di Ferrara, con cui si apre il girone di ritorno, è a mille.
Inzaghi fa la rivoluzione tanto attesa: 4-3-3.
Mazza praticamente esaurito: Bologna che si presenta per i tre punti.
La partenza è fulminante: Soriano va più volte vicino al vantaggio, ma Viviano la para sempre.
Poi però arriva Palacio: finta col sinistro e bolide col destro, che non lascia scampo all'ex felsineo.
0-1 ed esplosione del settore ospiti.
Per un'ora buona il Bologna è padrone del campo, mai così dall'inizio della stagione: gli innesti dei nuovi hanno dato i loro frutti.
Poi però cosa succede? Che il pubblico spallino comincia a mugugnare, cercando una reazione da parte della squadra; ed incredibilmente, quasi a testimonianza del rapporto tifo-giocatori, la reazione arriva.
Antenucci segna, ma il Var annulla.
Il pareggio comunque è rimandato di pochissimo: cross in mezzo e Kurtic, il purgatore dell'andata, segna ancora, stavolta di testa.
1-1.
Finirà così: un punto che certamente fa più contenta la Spal.
Col Frosinone in casa, l'ultima del mese, bisogna vincere a tutti i costi; il mercato intanto è fermo, si parla di Rispoli per la fascia (sempre della scuderia di Tinti), Caceres per la difesa, mentre Spinazzola sfuma ufficialmente.
Inzaghi sa che coi ciociari si gioca molto: tutto.
Nei primi dieci minuti parte l'assalto all'arma bianca: il goal è nell'aria, Orsolini ci va vicino.
Poi, al 13esimo, l'episodio che cambia tutto: espulsione di Mattiello.
Bologna in dieci: Poli va a fare il terzino, Inzaghi non fa cambi.
Risultato? Due goal nel giro di pochi minuti, sì, ma del Frosinone.
Rossoblù a pezzi: il calcio è strano, direbbe il poeta.
Nella ripresa la mossa della disperazione: dentro Destro.
Inzaghi sa di essere al capolinea.
Il goal di Pinamonti in apertura, il de profundis.
Skorupski smanaccia come un portiere alle prime armi; Pulgar, su punizione, lancia in contropiede Ciano, che fa doppietta personale.
0-4.
Se non è il punto più basso degli ultimi vent'anni, poco ci manca: sul campo è autogestione.
Inzaghi osserva con fare incredulo i suoi ultimi minuti da allenatore rossoblù.
Sugli spalti, ormai vuoti per protesta, si ride e si fa ironicamente il tifo per i ciociari.
Fuori, dai cancelli della tribuna, esplode la rabbia del pubblico: sono tanti, tantissimi.
Esigono una spiegazione.
Quella che doveva essere la partita della rinascita, si è trasformata in un incubo ad occhi aperti.
Contro ogni previsione arriva Saputo, che calma la folla.
L'unico momento da salvare di un giornata nera: con Bologna che scopre di avere un presidente.
L'esonero è obbligato: via Pippo, dentro Sinisa, staffetta già avvenuta ai tempi del Milan, anche se non a stagione in corso.
Per Mihajlovic, dieci anni dopo, è la seconda volta sotto le Due Torri: il suo arrivo stravolge il mercato e le gerarchie.
Destro, dice, con me sarà titolare.
Mbaye, sul piede di partenza con Inzaghi, non viene fatto partire.
Il penultimo giorno di mercato arrivano Edera (attaccante esterno) e Lyanco (difensore centrale).
Il giovane Denis Portanova va al Torino; De Maio all'Udinese.
Il 31 gennaio finisce il mercato, senza botto finale, con uno dei mesi più cupi della storia recente rossoblu che finalmente passa agli archivi.
Il cambio d'allenatore, il caos totale.
Febbraio arriva quasi come una salvezza: per voltare pagina e scordarsi il passato.
Ma questa volta, per davvero.