Bologna e il Giro

















Venticinque anni dopo, il Giro d'Italia ricomincia da qua: dalla nostra Bologna.

Che all'epoca, correva l'anno 1994, aveva Walter Vitali come sindaco (confermato l'anno dopo, per la prima volta, direttamente dai cittadini), il Bologna impegnato nei playoff di serie C, la Fortitudo in A1 e la Virtus avviata al dodicesimo titolo della sua storia, firmato dal compianto Alberto Bucci.

Insomma: un secolo fa; ma tornando alle due ruote, la crono individuale viene vinta dal francese De la Cuevas (che francesissimo, con quel cognome lì, non era), mentre un giovane Marco Pantani (all'epoca ventitreenne) fa quasi il botto (secondo dietro all'irraggiungibile Berzin), portandosi a casa diverse tappe; ma in generale, il rapporto tra le Due Torri e la corsa ciclistica più famosa d'Italia, pone le sue radici ben più a fondo, e più precisamente agli albori del Giro, datato 1909 (...), con la prima tappa della storia che parte da Milano (alle 2.35 del mattino) e finisce proprio nella terra del Balanzone, precisamente all'Ippodromo Zappoli, dove Luigi Ganna mette in cassaforte il primo mattone della vittoria finale (festeggiata con la celebre "me brusa tanto el…"  avete capito cosa).

Poi la dittatura, la guerra e gli anni della difficile ricostruzione: con il Giro che nonostante tutto sopravvive, aiutando anzi la nazione ad evitare un nuovo sanguinoso conflitto.

E siamo dunque fino all'anno 1956: quando San Luca, simbolo per eccellenza della bolognesità, entra anche nell'immaginario collettivo della bicicletta.

Il merito è di Fiorenzo Magni, o meglio, del fotografo che lo immortala.

Antefatto: nella corsa precedente, durante la discesa di Volterra, il ciclista si è fratturato la clavicola; i medici gli ordinano dunque lo stop, ma Magni, uomo d'altri tempi, fa di testa sua: e con l'aiuto decisivo di Faliero Masi, meccanico di fiducia e mago della bicicletta, s'ingegna fino a trovare la combinazione magica.

Taglia una camera d'aria, la lega al manubrio e se la stringe con i denti, per ridurre lo sforzo alla spalla infortunata. L'immagina passa presto alla storia: col corridore, stremato, che si aggrappa a quell'oggetto misterioso, ponte tra sé e la bicicletta, un po' cyberpunk (Cronenberg approverebbe) un po' simbolo di un'Italia che non c'è più: pronta a gettare il cuore oltre l'ostacolo, a superare i propri limiti. A qualsiasi costo/sacrificio.

Altri tempi, altri ciclisti: altro sport.

Segni di un mondo andato, avente come solo ed unico testimone San Luca, rimasto lì, fermo al suo posto; simbolo di un desiderio insieme materialista e trascendentale, pronto a tornare, domani, sotto gli occhi di tutto il mondo; con quelle biciclette, tanto care a ognuno di noi, in gara per la salita.

Di più: per La Salita.

Perché l'attesa, finalmente, è giunta al termine.

Bentornato Giro: ci eri mancato.

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